venerdì 6 gennaio 2012

Quesiti particolari


Dalle letture del prof. Eugenio Macedonio.
Personale Strenna d’augurio per l’Epifania.

Una maldicenza sull’opera dell’Arch. Carlo Cocchia.
L’opera di Carlo Cocchia, viene a essere sminuita nell’essenza dai riporti di una impreparata manovalanza, attraverso quanto pubblicato nel (catalogo 2011,Pag73, rigo31-35). Ricordando che Ispirato, è sinonimo d’imitato che in lingua italiana vuol dire copiato.
Un’intrigante e all’apparenza innocente frase:“…l’intero impianto traeva ispirazione dalle scenografiche architetture settecentesche prima fra tutte la reggia di Caserta, dove sia il verde che l’acqua erano considerati elementi essenziali del progetto architettonico. Scritta dall’impreparata manovalanza assunta per l’occasione, apre un enigma sul perché l’Architetto Carlo Cocchia progettò la Grande fontana della Mostra d’oltremare e il parco, ispirandosi alla reggia di Caserta senza comprendere il perché il prof. G. Borrelli e il figlio emule, tacquero.
Occasione per mostrare l’interessante passaggio storico dell’Arch. Carlo Cocchia.
Evento che ne dà fortuna a quanti non conoscono questo storico particolare, qui d’appresso narrato dal sottoscritto.
È spontaneo, un atto d’amore proteso a salvare la realtà oggettiva, storpiata senza vergogna da chi pensa, presume e azzarda, senza conoscere.
Paleserò due punti del progetto di ripristino della grande fontana, ad opera dell’Architetto C. Cocchia, adatti allo smantellamento di quanto da altri, falsamente affermato.
La  scenografia di contorno e il parco antistante.
Fu l’esplicazione del genio di Cocchia, continuava Macedonio nel suo racconto, spronato in questa scelta da pensieri tanto semplici nella loro complessità da superare il talento stesso del genio.
Egli pensò al suo futuro come un padre pensa alle proprie creature, prevedendo a lasciare immutata la scenografia retrostante certo di cosa sarebbe accaduto di lì a pochi anni, e con gli strumenti in suo possesso, richiese e ottenere dal Comune di Napoli che la collina retrostante la grande fontana, fosse dichiarata suolo non edificabile e iscritta nella tabella di ruolo “H1” dello stesso Comune.
Questo, non per scimmiottare settecentesche opere ma per una ben più seria ragione, mantenere inalterato, la scenografia dei luoghi, evitando che in futuro le luci degli appartamenti, in seguito costruiti sul pendio della collina alle spalle della fontana, ne disturbassero l’effetto scenico e coloristico.
Aveva forse torto?
Si ritrova in quest’azione un’attinenza con La fontana di Caserta?
Certamente no!!
La seconda possibilità riguarda la parte antistante della grande fontana, il parco.
D’altra parte, vasche escluse non vi è più niente cui appigliarsi, per indi poi…
Lo strano vialone, che viene avanti dalla fontana, ampio e generoso nelle forme, riportando quella particolare curvatura della pavimentazione, adatta a riflettere il suono, contornato da alberi e di vasche dalla duplice foggia, sono oggi esempi ancor più rappresentativi di un sommo pensiero.
Il vialone è e rimane espressione di un concetto scenotecnico e non certamente scenografico, (la differenza tra questi due termini è sostanziale), usato dal Cocchia per risolvere ancor più grandi problematiche d’appresso rivelate, non certo d’acqua, come per la Reggia di Caserta, per questo scopo vi erano gli ingegneri preposti, quanto…, di suono.
La grande fontana, infatti, doveva funzionare al ritmo del suono a cui erano abbinate luci e zampilli, non vi racconto con quali macchinari dell’epoca, poiché questa è un’altra storia.
L’Arch. Carlo Cocchia, ebbe invece il compito, come architetto, di rendere il suono in maniera cristallina e senza echi, da qualsiasi punto si ascoltasse.
Cosa dall’apparenza semplice, per farsi un’idea, si pensi alle difficoltà di sistemare  solo tre amplificatori  per le feste di piazza.
Il suono fuoriusciva da decine e decine di altoparlanti, posti non soltanto in prossimità della fontana, ma in tutta l’area in uso.
Cioè a dire per tutta la Mostra d’Oltremare.
Egli, concretò una soluzione adatta a risolvere un complesso e altrimenti irrisolvibile problema di acustica, modificando e trasformando la passeggiata in qualcosa che avrebbe raccolto e riflesso il suono verso l’alto disperdendolo, non un settecentesco leziosismo, inadatto a un viale impossibile da percorrere a fontana in funzione.
Si sa che un suono quando si espande e urta una superficie solida, rimbalza, creando echi e rintroni, quindi se si può, è meglio allontnarlo.
Studi risalenti a periodi storici Assiri, poi Greci, mantennero nel teatro il suono proveniente dal proscenio, limpido e cristallino in qualsiasi punto della platea, ripresi e ampliati in epoche successive per meglio ascoltare il suono prodotto dagli Organi da chiesa, modificando perfino le decorazioni interne delle stesse, in pietra o in marmo, poi in “cartapesta”, adatte ad assorbire meglio le onde sonore dello strumento e le voci della Schola cantorum annessa, favorendo un ascolto cristallino.
In tempi successivi, l’inedia dei nobiluomini del ‘700, ampliarono e modificarono questo concetto, desiderando essere allietati da musici e conforti canori, nei mesi estivi, al riparo di freschi boschetti, ascoltando la musica, richiesta senza distorsioni.
L’Architetto Carlo Cocchia applica questi studi.
Per questa ragione, e non per altro scopo, furono messi a dimora centinaia di pini, e altre similari piante, tutte sempreverdi e adatte con il loro fogliame a rompere il suono.
In realtà e per i successivi discorsi dell’Architetto con mio Padre, e con il direttore delle serre botaniche, visitando i padiglioni in cui la sig. Diana Franco di lì a poco avrebbe decorato, ne conta circa 850\860 unità.
Rimane ovvio che in queste non sono calcolate le diverse piante da fusto poste in zone limitrofe all’area né tantomeno quelle preesistenti.
Ad opera terminata, osservando bene tra il folto dei boschetti, si comprende che la musica diffusa da decine e decine di altoparlanti, posti in doppia fila alla destra e alla sinistra delle vasche circolari, lungo tutto il percorso e oltre, offre un suono libero da scorie.
Grazie non soltanto alle foglie che fungendo da “spugne, assorbono le rifrazioni e i riverberi, lasciando il suono limpido e pulito.
Non si nega il genio, coprendolo con meschine supposizioni senza costrutto.
Questa importante ragione mi fa qui esprimere un chiaro disaccordo verso quanti sostengono un’omertà di lavoro, adottata con indifferenza dalla grande fauna della cultura, pur comprendendo che ciò non permette di pronunciarsi secondo un personale aperto, dotto parere, se non promuovendo le stesse “mezze” verità da altri già espresse, mentre del nuovo, delle infangature dell’arte e di quanto trascina in basso la cultura, come qui riportato, si tace, come non fosse problema universale.
Almeno, c’è la Befana o meglio, in questo caso il “Befanone”, qui sostituita dal sottoscritto, per la comune coscienza, per chi scrive con superficialità offensivi paragoni, per quanti lo ha permesso e soprattutto per chi, avendone le possibilità, neanche velatamente ostacola lo scempio.
                                                       A rileggerci presto,  prof. Eugenio Macedonio

domenica 1 gennaio 2012

Interrogativi del Prof. Eugenio Macedonio

Dalle letture del prof. Eugenio Macedonio.
Quesiti molto particolari
Personale Strenna d’augurio per il 2012.
Un intrigante e all’apparenza innocente frase è scritta nel catalogo, sul Ceramista Peppe Macedonio ediz. 2011, alla Pag73, rigo31-35.  
Essa riguarda la grande fontana della Mostra d’Oltremare, del cui progetto s’interessò l’Arch. Carlo Cocchia.
L’argomento è così riportato: l’intero impianto traeva ispirazione dalle scenografiche architetture settecentesche prima fra tutte la reggia di Caserta, dove sia il verde che l’acqua erano considerati elementi essenziali del progetto architettonico.
Un’affermazione che non lascia trapelare il modo in cui può essere offensiva, se non si conoscono i fatti, frase all’apparenza vuota di contenuti ma, vedremo dalla risposta in qual modo offende e mortifica il pensiero dell’Arch. Carlo cocchia.
Per ben comprendere la logistica, bisogna almeno superficialmente conoscere l’entroterra culturale in cui è stata creata.
Giusto per meglio apprezzarne poi la soluzione.
La generica e profonda superficialità del volume che contiene la frase, è legato all’averlo affidato a persone mancanti di ogni pur minima cognizione sulla vita e le opere del Maestro ceramista, (in questa affermazione, s’intende l’intera equipe preposta al catalogo).
Si sa che storicamente la cosa fu voluta dalla stessa Lucia Macedonio, che in un gesto tanto superficiale da scivolare nell’essere incosciente,  compie un azione a lei comune, certamente avventata per non dire uterina, e ben programmata nel tempo, che mirando a escludere il sottoscritto, allettata da personali ragioni che esulano dalla cultura o dall’affetto filiale, compie il gesto inconsulto. Adatto ad arrecare un incalcolabile danno non solo alla figura dello stesso padre, quanto alla storia che tentano di far conoscere, attraverso errori ed omissioni, di cui, uno dei tanti esempi è qui riportato.
Altri si ricorda sono contenuti nel documento distribuito gratuitamente e su richiesta o in forma anonima scaricabile da questo stesso blog).  
Ella, Lucia,  affida senza poi seguirne le sorti, la parte più delicata, la stesura della vita e opere a un’ignara “collaboratrice”, totalmente impreparata al compito affidatole, inadatta  ma che per gloria, accetta.
Non conoscendo minimamente le cognizioni storiche e culturali sulla vita e le opere di Macedonio è costretta a svariati pellegrinaggi, verso una memoria ritenuta certa, il prof. G. Borrelli che da quanto il volume riporta, sembra sia tutt’altro.
Un bel modo di ripagarlo, con questo bel favore.
D’altro canto anche il comitato scientifico, per altro mancante di un membro dalla specifica esperienza, confida ciecamente sulle informazioni ricevute dalla memoria storica e certi del risultato neanche controllano quanto è riportato.
Deduco che nel caso il controllo fosse avvenuto, lascerebbe comprende con maggior  terrore che lo stesso comitato non ha avuto neanche le capacità culturali non di agire quanto di comprendere. Fallendo miseramente nello scopo.
Si comprende che in questa storia, ognuno tenta di trarne un profitto, certamente diverso l’uno dall’altro, e lontano dalla cultura, spolpando Macedonio.
Cosa dal sottoscritto a suo tempo già denunziata ai patrocinatori del progetto che ne hanno perso atto.
Poi al danno la beffa, per il mondo.  
In questa totale disfatta la stessa compilatrice dell’opera “eccelsa”, si sente eguagliata al Sommo Poeta, tanta la prosopopea proferita, senza pensare al pasticcio combinato cercando almeno di arginarne l’orrore da essa compiuto manualmente e voluto dalla figlia del grande Maestro, Lucia. 
Scarabocchi di scritti, in una compilazione vergognosa, che mai appagata, rafforza i concetti in modo che ogni opera e ogni personaggio, sembri fosse copiato da qualcuno o qualcosa d’altro.
Altri libri possono essere ugualmente interessanti come sostitutive letture.
Questa volta ho scelto un racconto riportato in una doppia versione, integrale o edulcorata per l’infanzia che mi accingo a proporre. 
È una favola dei fratelli Grimm, “I musicanti di Brema”, la cui storia, in maniera indifferente, offre la possibilità a “quattro” straccioni di far soldi attraverso un artifizio bello e buono, che coinvolge e mortifica persone per bene e membri della comunità, alle spalle di altri ignari, per un unico, proprio tornaconto.
Ogni allusione a persone o cose è puramente casuale.
Una storia che insegna più di un precedente romanzo, già proposto, il cui titolo:  “Quattro personaggi in cerca d’autore”, non è però tanto piaciuto, chissà perchè.
Ritornando all’interrogativo, si spiega che nella frase riportata, si ragiona su di un terreno comprensivo della professionalità dell’ Arch. Carlo Cocchia, che posso personalmente assicurarvi, è immensa.
Senza specifiche conoscenze si potrà quindi solo millantare il suo lavoro.
Proferirò che gli studi compiuti per edificare la fontana della Reggia di Caserta, usando un veloce aforisma napoletano, riportato qui d’appresso in forma epurata e italianizzata, c’entra nel progetto della grande fontana della Mostra d’Oltremare, come quanti : “hanno  scambiato il Cabip bipo con la banca dell’acqua”. Volendo intendere che entrambi versano acqua, ma in quale diverso modo!!!

Il prof. Eugenio Macedonio in una forma scherzosamente dotta, ricordando il quesito: perchè l’architetto Carlo Cocchia progettò la Grande fontana della Mostra d’oltremare e il parco, suo contenitore, a quel modo?  Avrà piacere di rispondere su questo stesso blog il giorno della befana.
                                      A rileggerci presto,  Vostro prof. Eugenio Macedonio.